Immagine con responsabile che compila una checklist per la sicurezza sul lavoro

Morti sul lavoro: le verità scomode che nessuno vuole ammettere

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By Nico

Ogni volta che sento parlare delle morti sul lavoro in Italia, un brivido mi corre lungo la schiena e mi chiedo: come è possibile che, a dicembre 2024, ci siano state 577 vittime?

Ogni anno le cifre non fanno che aumentare, eppure, a guardare le leggi, attualmente in vigore in Italia, la sicurezza sul lavoro dovrebbe essere una priorità.
Cosa sta davvero accadendo? È colpa delle persone? O forse il problema è più in profondità?

La cultura del lavoro in Italia

In Italia, spesso, la sicurezza del lavoro è visto come un obbligo, non come una risorsa per il benessere del lavoratore: non c’è tempo per fermarsi a riflettere, bisogna andare avanti, sempre, a qualsiasi costo.

La cultura del lavoro, qui da noi, premia la velocità e il fare sempre di più: Il concetto di “a tempo” è arrivato a determinare anche la nostra esistenza. Lavorare sodo, fare gli straordinari, risparmiare su tutto, e chi se ne importa se la sicurezza viene messa in secondo piano.

C’è chi ha paura a parlare di ciò che non va, chi si sente impotente davanti a un sistema che dà più peso alla produttività e ai favoritismi che alla protezione dei suoi lavoratori.

Non possiamo più fare finta di niente. Non possiamo continuare a chiudere gli occhi sulle condizioni reali in cui le persone lavorano ogni giorno. Ma la domanda è: che responsabilità ha chi, pur di avere dei vantaggi, mette a rischio la vita degli altri?

Le aziende: il profitto prima di tutto

Per me, quando si parla di morti sul lavoro, la prima responsabilità ricade sulle aziende perché, nonostante esistano leggi che impongono precisi standard di sicurezza sul lavoro, spesso non vengono rispettate.

Il motivo è semplice: costano. Investire nella sicurezza, fare lavori di manutenzione, fornire formazione ai dipendenti… tutto ciò significa mettere mano al portafoglio e non sempre le aziende sono disposte a farlo.

Non è una novità che troppe volte, in Italia, le ispezioni siano superficiali, che le multe siano considerate il “prezzo da pagare” per non aver rispettato certe norme. Ma qui, a chi va davvero a finire la colpa?

Se il rischio viene minimizzato risparmiando su formazione, materiali e controlli, il prezzo da pagare sarà quello che vediamo nelle statistiche: morti sul lavoro che avremmo potuto evitare. E, chiariamo, non si tratta solo di incidenti, ma di precise scelte aziendali.

Le istituzioni: troppo lente per reagire


E le nostre amate istituzioni, che ruolo giocano in tutto questo? Se una legge non viene applicata o viene aggirata, secondo me la responsabilità è della politica.

In Italia si fanno leggi su leggi, ma poi chi dovrebbe farle rispettare spesso non ha né gli strumenti né le risorse per farlo davvero. I controlli sono insufficienti, la burocrazia paralizza ogni tentativo di intervento efficace.

Le morti sul lavoro sono un’emergenza che non viene mai trattata come tale. Certo, ci si indigna quando un lavoratore perde la vita, ma poi… arriva un’altra legge e il circo continua.

La sicurezza sul lavoro non è solo una questione di regole, ma di vita o morte. Troppo spesso, però, la vita umana viene sacrificata in nome di un sistema che non cambia mai. Un sistema che considera i lavoratori come numeri da sfruttare e dimenticare, anziché persone da proteggere.

La formazione: il tallone d’Achille

Il cuore del problema, però, risiede anche nella formazione: ogni anno vediamo lavoratori morire perché non sanno come proteggersi da rischi evidenti. È una tragica ironia: abbiamo le leggi, ma manca la cultura della sicurezza.

La consapevolezza sul posto di lavoro è troppo spesso carente, e la formazione lascia a desiderare.

Purtroppo, non tutti hanno la fortuna di essere formati come si dovrebbe. Molti arrivano in fabbrica, in cantiere, e devono imparare sul campo.
La formazione continua dovrebbe essere obbligatoria, come l’uso dei dispositivi di protezione. Ma non lo è, e questo significa che ci sono più morti evitabili di quanto dovremmo accettare.

La responsabilità dei lavoratori: non facciamoci complici!

E poi c’è la parte più difficile da accettare: la nostra responsabilità. Perché sì, anche noi lavoratori, dobbiamo fare la nostra parte. È vero che troppo spesso siamo messi di fronte a condizioni di lavoro pericolose e che non sempre possiamo scegliere di andare via.

Ma quante volte, pur di non perdere il posto, abbiamo fatto finta di niente? Quante volte, per la premura fare carriera o di non portare a casa un extra bonus, abbiamo chiuso un occhio su pratiche pericolose o irregolari?

Non possiamo continuare a far finta che non sia colpa nostra, anche quando ci sembra che “tanto è solo una volta”, “non succederà nulla”, “tutti lo fanno”.

Non possiamo più permetterci di chiudere gli occhi: la sicurezza sul lavoro non è solo una questione di leggi, è una questione di scelte quotidiane. E se vediamo qualcosa che non va, se sentiamo che un’attività è troppo rischiosa, dobbiamo avere il coraggio di fermarci e dire “no”.

Solo così possiamo rompere il circolo vizioso che ci lega alla paura di perdere tutto.

Quindi, per concludere, chi ha davvero la colpa? Dobbiamo guardare in faccia la realtà: la colpa è un po’ di tutti.

È di chi non ha il coraggio di dire “no” quando le condizioni non sono sicure e di chi accetta passivamente un sistema che considera il rischio come una “parte del gioco”. È delle aziende che mettono il profitto davanti alla vita e delle istituzioni che non si impegnano abbastanza per garantire che le leggi vengano applicate.

Ma, soprattutto, è nostra, della società, che accetta che tutto questo accada senza reagire abbastanza.

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